Il compromesso

Dopo la Grecia, cosa pensa di fare l’Italia?

Come era stato ampiamente previsto, alla fine la lista di riforme che la Grecia aveva promesso di inviare entro la mezzanotte di lunedì scorso a Bruxelles, Francoforte e Washington è arrivata. La lista era la condizione indispensabile per Unione europea, Bce e Fmi di concedere un prolungamento dei prestiti ad Atene e con esso (4 mesi) anche il tempo necessario a stabilire un compromesso tra le promesse fatte in campagna elettorale e la realtà degli impegni vincolanti. Al momento la Ue sembrerebbe soddisfatta: la lista di Atene è stata giudicata dalla Commissione come “un valido punto di partenza per una positiva conclusione della revisione del programma, come chiesto dall’Eurogruppo” e si ritiene anche incoraggiante il forte impegno a combattere evasione fiscale e corruzione come promesso. La Grecia poi si è impegnata a non ritirare le privatizzazioni già completate e a rispettare, in base alla legge, quelle per cui è stato lanciato il bando, mentre, contemporaneamente, Atene assicura che la lotta alla crisi umanitaria “non avrà effetti negativi per il bilancio”. I punti cardine indicati dal governo Ts ipras nei propositi alla commissione, prevedono una stretta anti-evasione e anti-corruzione, una riforma della burocrazia e dei debiti della pubblica amministrazione verso le aziende, e infine il nodo dei crediti deteriorati delle banche. Alla soddisfazione dell’Unione europea si oppone il malessere dei cittadini greci che contavano su una svolta che non c’è stata. Manolis Glezos, l’eroe nazionale che nel ‘43 salì sull’Acropoli per ammainare la bandiera nazista è stato un grande sostenitore di Tsipras e ora ha chiesto scusa per l’abbaglio preso. È stato Glezos a preparare il report sui danni di guerra che la Germania dovrebbe restituire alla Grecia, circa 153 miliardi. Altro che tagli, anche perché dal suo punto di vista. “le concessioni già fatte dai precedenti governi del memorandum non ci permetteranno di combattere la disoccupazione, la povertà, i suicidi da crisi”. Come Glezos, la pensa il vice ministro del welfare Dimitris Stratouli, che ha bollato le scelte di Tsipras come “un passo indietro rispetto alle promesse elettorali”. A questo punto vedano un po’ a Syriza cosa fare. Se decidere di contestare l’accordo con i burocrati di Bruxelles, o se restare con qualche euro in tasca per fare la spesa. Dopodichè questa stessa domanda andrà posta all’Italia, non solo al governo che almeno a parole sta facendo la sua parte, ma a quelle opposizioni che fantasticano di poter uscire dalla moneta unica. Perché se Syriza ha rinunciato ai suoi propositi bellicosi scendendo a più miti consigli sarà difficile per Salvini o Grillo inalberare la bandiera no euro. Un conto è contestare le politiche restrittive, uno affatto diverso credere di poter sfuggire alle leggi di bilancio. Con i debiti che ci troviamo non possiamo permettercelo e se davvero vogliamo ridiscutere da capo le fondamenta dell’eurozona, occorre comunque avere i conti in ordine. Se qualcuno credeva di far passare in cavalleria le politiche spendi e spandi perseguite per decenni, ora deve fare i conti con la loro sostenibilità.

Roma, 24 febbraio 2015